La pandemia di Covid-19 ha minacciato la continuità operativa delle aziende italiane, molte delle quali hanno dovuto interrompere le proprie attività per rispettare le disposizioni di legge sul contenimento dell’epidemia, pregiudicando la produttività.
Le conseguenze di tale situazione sono certamente di natura economica. Ma non solo. L’interruzione della regolare operatività ha ripercussioni sociali importanti: licenziamenti, ricorso alla cassa integrazione e senso di precarietà impattano in modo negativo sulle persone e le loro famiglie.
Tuttavia, un corretto approccio imprenditoriale, strumenti adeguati e partner commerciali affidabili sono elementi che possono scongiurare gli scenari più difficili. Vediamo in che modo, dunque, è possibile preservare la continuità operativa e superare le difficoltà del momento, limitando gli effetti collaterali della crisi sanitaria.
In primis, è necessario avere chiaro il concetto di continuità operativa. Si tratta della capacità che un'organizzazione ha di continuare ad erogare prodotti o servizi a livelli predefiniti accettabili, pur in uno scenario difficile (ad esempio a seguito di un incidente), evitando interruzioni che potrebbero compromettere l’intero business dell’azienda.
Il concetto di Business Continuity nasce verso la fine degli anni '70 negli USA, come diretta conseguenza dell’ascesa dell’Information Technology nelle aziende. I manager di allora si resero conto che in caso di malfunzionamento dei sistemi tecnologici non era più possibile (o sostenibile) effettuare un roll-back ai processi manuali.
Erroneamente però, la Business Continuity viene spesso confusa con il Disaster Recovery, disciplina invece unicamente applicabile (come misura di gestione di un incidente critico) alla sicurezza informatica. Negli anni '90 le organizzazioni, infatti, incominciarono a estendere il campo di applicazione della Continuità Operativa alle persone, ai siti, alle risorse, ai fornitori dell'organizzazione e ai servizi pubblici.
Come diretta conseguenza di questo approccio sempre più dilagante, il British Standards Institution in quegli anni lanciò un primo standard per la sicurezza informatica (che negli anni è stato modificato fino a diventare l'attuale Norma ISO/IEC 27001:2013), che tra i principi fondamentali enunciava la necessità di continuità operativa, definita ai tempi ancora in termini di disponibilità dei dati.
In effetti, è interessante sottolineare come nell’ambito della cyber security, il tema sia oggi particolarmente di attualità. Incidenti informatici come i data breach o in generale lo sfruttamento di vulnerabilità nei sistemi da parte di malintenzionati, possono compromettere la continuità operativa delle organizzazioni, con conseguenze anche gravi non solo sul business, ma anche sui soggetti che fruiscono di quei servizi intaccati.
L’attualità offre l’occasione per riflettere su come le aziende stiano, loro malgrado, avendo a che fare con questo concetto.
L’emergenza coronavirus ha spinto il Governo ad adottare misure per il contenimento dell’epidemia che puntassero al distanziamento sociale.
Le attività produttive di vari settori sono state chiuse per diversi lassi di tempo. I mesi senza lavorare per alcuni si sono tramutati in una sentenza di fallimento.
Molti hanno invece dimostrato resilienza: è questa nel business, come nella vita, la capacità di far fronte alle difficoltà e di saper gestire la situazione di crisi. Un esempio sono le imprese che hanno riconvertito la loro produzione in dispositivi di protezione individuale, oppure le ditte che hanno abbracciato e spinto oltre il livello di digitalizzazione per poter continuare a offrire i propri servizi, sebbene con modalità diverse dal solito.
Emerge quindi che questa situazione imprevista ha favorito lo sviluppo di processi innovativi, portando anche chi non aveva investito in ICT ad affrontare una trasformazione digitale “accelerata” per superare gli ostacoli imprevedibili che si sono presentati a partire da marzo 2020.
La continuità operativa ha rappresentato la leva per far funzionare il proprio business e salvarlo dalla fine, ma non solo. Con l’obiettivo di proseguire la propria attività e non chiudere, gli imprenditori si sono trovati di fronte a delle scelte coraggiose da compiere per evolvere e non estinguersi.
Una lezione importante anche per il post epidemia e, in generale, per il domani: l’implementazione di innovazioni che hanno portato a digitalizzare la maggior parte dei processi non deve rappresentare una soluzione temporanea per affrontare l’emergenza. Non si può tornare indietro, è importante che le aziende puntino sempre di più sull’ottimizzazione dei processi attraverso soluzioni digitali, che permettano di contenere i costi, velocizzare i tempi, rendere più efficienti i servizi e, ovviamente, garantire un livello di sicurezza tale da preservare la continuità operativa. E, nell’intraprendere questo percorso, gioca un ruolo cruciale la scelta dei propri partner di business: è fondamentale avvalersi di aziende che dimostrino di aver investito preventivamente in soluzioni tecnologiche adeguate, che coltivino al loro interno una cultura dell’innovazione e riescano, nel contempo, ad assicurare ottimi livelli di sicurezza a beneficio della continuità operativa propria e dei loro clienti.
Il coronavirus ha rappresentato, pur con tutte le circostanze negative legate alla sua diffusione, una leva per la trasformazione digitale di settori che da un giorno all’altro si sono trovati di fronte al rischio di subire la crisi con le peggiori conseguenze possibili. La rapida adozione di soluzioni di smart working, il ricorso a tecnologie innovative come IoT e intelligenza artificiale, che potessero sostituire gli umani in certe mansioni routinarie, evitando rischi di contagio, così come l’introduzione di sistemi gestionali altamente qualificati, hanno costituito gli elementi fondamentali della resilienza aziendale. In questo senso, la tecnologia ha rappresentato un salvagente nella tempesta per molte aziende: la sfida ora sarà non tornare indietro, ma valorizzare sempre di più l’uso del digitale per preservare la continuità operativa e del “fare business”.